di Paolo Lavezzari
LA CUCINA ITALIANA

Si chiamava Eats & Driks il ristorante inventato negli anni Settanta da Ken Scott, vulcanico sarto e artista, nonché cuoco raffinato. Un ambiente full immersion in un mondo tutto fiori e colori
Foulard e padelle
Macché chef multistelle, grandi griffe che fanno finta di spignattare, food lenti o veloci a piacere. In principio c’era Ken Scott, nel senso di George Kenneth Scott: proprio lui, già pittore della scuderia di Peggy Guggenheim, diventato pirotecnico giardiniere della moda, a causa del suoi tessuti a stampe coloratissime tutti fiori, frutti e ortaggi e, perché no, guizzanti sardine (profetico?). Una passione (sul comodino aveva il Larousse gastronomique, una ricetta a sera per conciliare il sonno e confrontare condimenti) che lo portava or sono cinquant’anni e poco più addirittura ad aprire un ristorante, primo assoluto, al piano terreno del suo quartier generale a Milano, in via Corridoni 37, di fianco alla boutique.
È il 19 novembre 1969, l’Italia si ferma con un drammatico sciopero generale, ma quella sera l’inaugurazione di Eats & Drinks (più chiaro di così) raduno lo stesso 500 persone e oltre: un caravanserraglio di stravaganze, mondanità vip e non, con Pierre Cardin e André Oliver quali ciliegine haute couture.
«Il locale aveva trenta posti», ricorda Aldo Papaleo, della Fondazione Ken Scott, voluta dal sarto nel 1989 (che scompare nel 1991). «Prima di inaugurare aveva invitato vari amici a una serie di cene di rodaggio. Era una full immersion nell’universo di Scott che, a parte le applique Foglio di Tobia Scarpa per Flos, aveva disegnato ogni cosa: dai fiori esotici delle piastrelle a pavimento di Ulisse Pagliari alle dalie laminate sulle pareti e stampate sulle tovaglie di cotone, ai calici realizzati da Moretti a Murano, ai piatti di Ceramica d’Este. Gli specchi moltiplicavano tutto e in cucina c’era la griffe KS sui foulard che coprivano le lampade».
L’eccezionalità di questa «serra esotica» Scoyy la sottolineava con il menù che ogni giorno proponeva una specialità internazionale diversa. «Mentre imperavano le trattorie regionali, lui diceva: “Chi vuole la pastasciutta non venga da me”». «La sua cucina francese con influenze americane e orientali», dice Papaleo, «si mischiava al tex-mex e alle ricette che trovava viaggiando. Tutto era fatto in casa, a cominciare dal coni bread, il pane di mais. E comunque, per venire incontro ai gusti italiani, qualche anno dopo aprì di fianco a Eats & Drinks un sobrio ristorantino con tanto di trenette, carbonare e paste e fagioli».

Cotto al momento
A questo americano metà scozzese e metà tedesco-olandese, scappato dall’Indiana per dedicarsi all’arte e, ricordava lui, per non sentire più gli effluvi dei fast food, la passione per i fornelli era venuta a Chicago durante gli studi: lì, ricordava, «avevo conosciuto una signora che nella sua elegante e vecchiotta casa vendeva abiti e preparava raffinate vivande. Ho sempre desiderato fare una cosa del genere». Così, dietro ai fornelli, Scott lo si trovava spesso, con i due cuochi. «Si cucinava tutto al momento. Diceva: “Non si tiene niente per il giorno dopo. Preferisco buttare via”».
Per ricordare l’avventura del geniale e un po’ dimenticato stilista è aperta fino al 14 marzo a Bellano, sulla sponda lecchese del lago di Como, nello spazio Il Circolo, una mostra curata dal pittore Velasco Vitali. Titolo: Eats&Driks&Pizza in cui ormai Eats&Drinks vi è noto, mentre Pizza dice delle quindici inedite tempere originali di un «menù» di quindici pizze, dipinte da Scott per dei moduli decorativi, ora piatto forte dell’esposizione.
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