di Andrea Vitali
Editoriale, LA PROVINCIA DI COMO
(tutte le edizioni)
Giancarlo Vitali sa quale tra i suoi tanti dipinti gli ruberei se fossi sconsiderato al punto di anche soltanto immaginare una simile azione. Pur tra le tante chiacchiere fatte con lui sugli argomenti più disparati (il tempo dell’anima e del cielo per esempio, oppure la genialità di un dialettismo intraducibile) nessuno di noi due si è mai posto la questione. Lui certamente non immaginando che io possa covare un inconscio tanto furtivo né io, per il momento, sapendomi dotato di un simile ardire. Confesso altresì che sino ad ora non ho mai accarezzato l’idea di farmi ladro, di quadri o d’altro. Lo scrivo appena, per gioco, come se fossimo a un tavolo, nel pieno di un noiosissimo gioco di società o di carte. Tocca rispondere alla domanda onde non interrompere la filiera dei partecipanti. Lo scrivo solo quindi, negando nel contempo ogni intenzione di passare all’atto pratico.
Sarebbe, ed il condizionale è d’obbligo, un dipinto dal titolo Passaggio a livello, lieve pensiero tradotto in luce di colori, privo di umanità, da intendersi nel senso di presenze umane. Mi piace, lui tra i tanti, poiché l’ho sempre immaginato dipinto ad occhi chiusi. Che sembra una grande sciocchezza visto che sto dicendo di un pittore.
Un po’ meno, forse, almeno credo o spero, chiarendo che l’ho immaginato nascere dietro gli occhi chiusi per frenare, comporre mentalmente e poi dare sostanza a un momento di profonda suggestione.
Mi auguro che il quadro in oggetto abbia un suo spazio nella grande mostra di cui si rende conto a latere. Fosse così, mi piacerebbe condividere con qualche visitatore lo spazio e il tempo di quel soggetto.
Lo spazio, protagonista muto e informato del bisogno di una madre terra che si offra alla nostra solitaria contemplazione: ci dona pochi elementi ma di rassicurante benvolere, le nostre stanze quotidiane, quelle dove viviamo dimenticando le altre, inutili, dove la polvere si accumula e che si aprono solo per ospitare stracchi parenti o cerimonie sempre più svilite. E il tempo, dentro e attorno a quello spazio, un’inguaribile ferita, un corridoio. O meglio, un ballatoio che corre alto sopra la crosta della terra e inizia proprio, sempre là dove finisce.
Se avesse spazio in mostra, il quadro in oggetto richiederebbe, oltre che un ottimo sistema di protezione al fine di prevenire un mio improbabile tentativo di furto, anche di un comodo appoggio per il visitatore: una piccola, accogliente poltrona andrebbe bene affinché l’osservatore possa avere il tempo e l’agio di trasferirsi dentro la periferia che ha sotto gli occhi e scomparire in essa diventando sostanza volatile. Così, tanto per meditare tra sé la bellezza della temporanea assenza di ogni cosa, rumone o persona, che possa arrecare disturbo, e prima che la visita, in un certo senso la vita, riprenda sulla spinta della necessità.
Venendo al furto immaginario, infine. L’idea, mi sembra chiaro, è solo una fantasia di pertinenza frenologica, affermazione avvalorata dalla possibilità di godere soggetto e suggestioni quotidianamente, come e quando voglio: l’ho sotto gli occhi infatti, in casa, in forma di disegno e dono dell’autore.
Sta nella stanza del risveglio in compagnia di una poesia di Vittorio Sereni: preghiera laica del mattino questa, il quadro, quel mondo senza strappi dentro cui l’aria è tiepida e gli occhi stanno al di fuori dalla cornice, a fare il contrappunto.
Rimano insieme, come bambini sopra un’altalena.
Rispondi