Così rileggo settant’anni di pittura in tutta l’opera di mio padre

di Velasco Vitali
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Con la mostra su Giancarlo Vitali, ho voluto raccontare la sua visione poetica e il suo essere pittore rileggendo, in modo critico, il suo percorso artistico

«Per la prima volta mi ritrovo a curare una mostra su mio padre, considerando la sua opera come un mondo unico, una geografia spaziale e temporale, un time out dalla realtà che si dilata nella pittura. La relazione pittore-pittore e padre-figlio non è unidirezionale. Senza girare troppo intorno alle mie radici, posso affermare che l’influenza paterna ha certamente condizionato il mio apprendistato oltre che il mio imprinting.

Prendersi cura di questo progetto significa cercare di raccontare e ordinare qualcosa che è sempre stata sotto ai miei occhi: l’importanza di una pittura spontanea che raccontasse storie, ma ancheil gesto stesso, anarchico e isolato, alla ricerca ostinata di linee, forme, macchie, riflessi, strisce e campi di colore. Il modo migliore per comprendere la struttura filologica di tutta la sua opera è partire dal suo mondo: la sua casa; Germana, la sua compagna; un paese, il suo, Bellano.

Ho pensato a Time Out esattamente come fosse stata una mia mostra. Ho aggiunto un elemento sensibile dal punto di vista psicanalitico e psicologico molto forte che era il rapporto con mio padre. Però ho cercato anche, nella progettazione e nell’organizzazione, di trarrare l’esposizione come un progetto, rendendo evidente il mio pensiero sulla pittura. E ho detto a mio padre: ‘Non credere che questa esposizione sia il tentativo aneddotico di raccontare un rapporto di famiglia, padre e figlio”. Quindi, ho utilizzato il lavoro di un grande artista, tale lo reputo, per narrare oggi qual è, secondo me, il valore della pittura e quale attinenza potrebbe avere con la contemporaneità, al di là di quello che poi rappresenta quel tipo di arte».

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