E il figlio generò il padre. Vitali celebra Vitali

di Gianluigi Colin
IL CORRIERE DELLA SERA | LA LETTURA

2017.07.02 La Lettura.jpgGenealogie. Velasco cura una mostra molto speciale a Milano, un evento straordinario distribuito su quattro sedi espositive per celebrare le opere e il lavoro del papà Giancarlo. Ma chi è davvero questo personaggio completamente atipico, 88 anni, una vita quasi solitaria immersa nell’arte? Ecco che cosa scrisse di lui Giovanni Testori: «Una pittura sontuosa e trionfante di sughi, succili, rapine cromatiche, carnali ascendenze, debordante difiumidi rose, di peonie e di sangue»

«Intanto, perché dovrei ammazzarlo? Il padre, s’intende. La richiesta è perentoria, del resto. “Devi uccidere il padre. Punto”. Un must, come dicono quelli che sanno le lingue e la sanno lunga. Sulla psicoanalisi. E sulla paternità». Velasco Vitali, pittore e scultore, autore tra i più riconosciuti e apprezzati dell’arte italiana, si confessa così, parlando con ironia, ma anche con voce autentica, della sua tensione professionale (ed emotiva) nell’affrontare una nuova avventura artistica che lo vede, stavolta, nel ruolo di curatore. Curatore però di una mostra speciale: quella di Giancarlo. Suo padre.

Una mostra davvero sorprendente, per la qualità delle opere, per la complessità della struttura espositiva, per i protagonisti. Una mostra che appare come un viaggio inatteso sul tema della pittura, tra difesa della tradizione e slanci sulla contemporaneità in un confronto costante tra sguardi di generazioni diverse. Ma anche un progetto espositivo (si tratta infatti di mostre in quattro sedi milanesi) che rappresenta la costruzione di una scrittura critica che celebra il lavoro di Giancarlo Vitali, ma mette in rilievo le connessioni e le diversità di linguaggi in quel dialogo silenzioso che inevitabilmente si alimenta nel rapporto tra pittore-pittore e ancor più tra pittore-figlio. È lo stesso Velasco a chiarirlo: «Per la prima volta mi ritrovo a curare una mostra su mio padre, considerando la sua opera come un mondo unico, una geografia spaziale e temporale, un time out dalla realtà che si dilata nella pittura».

2017.07.02 La Lettura 2.jpgGiancarlo Vitali è un vero maestro, ma anche un personaggio atipico: la sua pennellata è densa, precisa, fluida e i suoi soggetti sono ancorati al microcosmo della sua stessa esistenza. Uomini e donne del suo paese, Bellano, borgo di poche anime sulle sponde del lago di Como: il farmacista, il prete, una donna che spen- na un pollo. Ritratti di una umanità silenziosa, spesso umile, dimenticata, ma straordinariamente viva e ora consegnata a un tempo infinito grazie a una pittura sublime, densa di malinconica ironia e di «materico splendore». Personaggi «marginali» che Vitali riesce a restituire nella loro identità universale. È qui la sua grandezza. E poi, i dettagli di un mondo fatto di cose semplici: un girasole, un gatto, un piatto ricolmo di pesci, un coniglio scuoiato, il tavolo alla fine di un banchetto. Antonio Tabucchi traccia nel 1999 un ritratto poetico del suo lavoro: «Personaggi e situazioni dell’animo, in transito verso luoghi ignoti, sorpresi dalla luce abbagliante dell’arte. Non la luce fluorescente dei tubi al neon dei videogame, ma quella che, come dice un verso di Montale, candisce uomini e cose in un’eternità d’istante».

Di fronte alle opere di Giancarlo Vitali non si può non restare colpiti dalla qualità della pittura e dalla sua capacità di evocare mondi. Mondi quasi sempre perduti o che stanno scomparendo, mondi di un tempo suo, perennemente dilatato e sospeso. E su tutto c’è il gesto, rapido, preciso, che domina l’impasto della materia. Qualità che incantò anche un severo critico come Giovanni Testori che, dopo averlo scoperto per caso attraverso una foto, in un articolo sul «Corriere della Sera», nel 1984, scrive: «Avanti ai nostri occhi increduli, esaltati, ed esterrefatti, i fasti, ecco, sì, i fasti, d’una pittura sontuosa e trionfante di sughi, succhi, rapine cromatiche, carnali ascendenze e debordante, sempre, di fiumi di rose, di peonie e di sangue; una pittura della quale, fin lì, non avevamo avuto notizia che tramite una fotografia».

E a rendere ancora più «sontuosa» quella pittura è il fatto che Giancarlo Vitali è un autodidatta, quasi a volerci dire sfacciatamente che il talento non si apprende né lo si insegna. Figlio di una famiglia di pescatori, Giancarlo non ha mai inseguito correnti, scuole, tantomeno mode. Ha assecondato soltanto la sua natura schiva. E ancor oggi difende il «dovere» della solitudine, della lontananza dal clamore. Anche quello dell’arte. E queste scelte lo rendono, a suo modo, unico.

2017.07.02 La Lettura 3.jpgCosì, per questa avventura, inseguita intensamente dal figlio Velasco, sembra che Giancarlo Vitati non si sia lasciato andare a grandi entusiasmi: ha dato solo il suo assenso: «Se vi va, fate voi». Dichiarando da subito che non verrà all’inaugurazione, che si asterrà da ogni intervista, che non parteciperò a incontri pubblici, quasi fosse la volontà di non tradire il destino di una vita quasi solitaria, vissuta con la moglie Germana pienamente nel nome della pittura. Una pittura che sembra avere come immaginari compagni di strada Goya, Velàzquez, Rembrandt, Soutine, sino a Lucian Freud. Giancarlo Vitali vive un corpo a corpo con la storia dell’arte.

Con questa prima grande retrospettiva va riconosciuto al Comune di Milano il merito di rendere omaggio a un artista di 88 anni tanto potente, quanto poco conosciuto: dal 4 luglio, sino al 24 settembre potrà essere scoperto a Palazzo Reale, al Castello (nella Sala Viscontea e Bertarelli) al Museo civico di Storia Naturale e a Casa Manzoni, dove un curatore d’eccezione come Peter Greenaway ha messo in scena un inaspettato e intimo dialogo tra la memoria del luogo dove ha vissuto Alessandro Manzoni e le visioni di Giancarlo Vitali. Così, il titolo della mostra Giancarlo Vitali. Time Out, appare ora ancor più denso di evocazioni, quasi fosse, davvero una «pausa necessaria» (per padre e figlio): un tempo sospeso per fare i conti con la propria esistenza di artisti, con il passato certamente, ma ora anche con l’idea di una proiezione verso il futuro. Il figlio Velasco ricorda: «Prendersi cura di questo progetto significa cercare di raccontare e ordinare qualcosa che è sempre stato sotto i miei occhi: l’importanza di una pittura spontanea che raccontasse storie, ma anche il gesto stesso, anarchico e isolato, alla ricerca ostinata di linee, forme, macchie, riflessi, strisce e campi di colore. Un gesto pittorico fluido che con il tempo si è fatto sempre più spontaneo, inventato, libero, e che non ha mai avuto paura di astrarsi e cambiare, rimanendo però leggibile anche nei dialoghi con la realtà o — piuttosto — con la sua illusione».

2017.07.02 La Lettura 4.jpgIl progetto si snoda nelle diverse sedi mantenendo centrale Palazzo Reale: qui sono raccolte oltre 200 opere in un percorso che racconta oltre settantanni di lavoro. Un viaggio che comincia (e finisce) con una coppia di ritratti installati come fossero dei dittici di coppie, senza esserlo: si comincia con Angiolina Gandola (1946) e il Ritratto di Poltì (1947) e si conclude con altri due ritratti (Dama dei gatti, 1985 e II farmacista Pirola, 1992). Un gioco di relazioni immaginarie che rimanda alla finzione della vita, alla commedia umana. In particolare, poi, queste due opere raccontano perfettamente lo sguardo visionario e addirittura grottesco di Vitali che avvolge buona parte della sua pittura. Ma a Palazzo Reale c’è anche un «indizio», un gioco di specchi e di rimandi che sarà presente in tutte le altre sedi espositive: Velasco colloca alla fine del percorso un suo doppio ritratto, dipinto su una tavola recuperata nello studio e densa di stratificazioni di colori. Da una parte Giancarlo: è in piedi, il braccio appoggiato su una tela, sullo sfondo, l’atelier dell’artista. Dall’altro lato, l’autoritratto di Velasco: anche lui è in piedi, i vestiti sporchi di colore, ma la postura è frontale, guarda dritto negli occhi, quasi a dichiarare il profondo senso di appartenenza a un mondo di affetti e che ha nella pittura il fulcro.

Al Castello sono ospitate le incisioni di Giancarlo Vitati (che mettono in luce la sua straordinaria qualità nel disegno e nella stampa). Velasco si è «appropriato» delle lastre originali del padre e ne ha fatto una istallazione: ci accoglie così un red carpet che invita a passeggiare in mezzo a pinze e matrici calcografiche originali, un omaggio alla poesia dell’incisione, mentre nella seconda sala sono esposti oltre un centinaio dei 450 fogli realizzati da Giancarlo: acqueforti, acquetinte, puntesecche e ceremolli. Continuiamo il percorso: al Museo Civico di Storia Naturale un grande dipinto del Resegone accoglie il pubblico. Ma rutto l’intervento è un omaggio all’abate Antonio Stopparli, concittadino per nascita di Giancarlo Vitali, inventore della paleontologia moderna e direttore, dal 1882 al 1891, dello stesso museo. L’installazione suggerisce un dialogo tra i fossili veri e quelli dipinti dal padre, rievocando così una passeggiata visionaria ai confini tra realtà e rappresentazione pittorica. Infine, Mortality with Vitaly di Peter Greenaway: una vera mostra nella mostra, potente, inaspettata, sorprendente. Casa Manzoni è trasformata in una Wunderkammer, dove i dipinti e i disegni talvolta grotteschi di Vitali convivono e dialogano con centinaia di costumi di ogni epoca, con ampolle mediche ricolme di acque delle fonti lombarde, di alberi raccolti nei boschi e letti d’ospedale. Sono evocazioni dei disegni che Giancarlo Vitali ha dedicato al tema della malattia durante un suo lungo ricovero tra il 2002 e il 2003. Non riusciva a stare senza fare nulla: allora chiese colori, carte, pennelli, matite. Nacquero così centinaia di disegni, un racconto autobiografico, sincero, dolente, ma anche ironico in cui «il corpo dell’artista» diventa metafora di un mondo in dissoluzione. E parlando di mondi in disfacimento, ecco anche un branco di cani, le celebri sculture di Velasco, aggirarsi nel cortile della casa, restituendo uno stato di autentica inquietudine.

Certo, seguendo l’emozionante e ricco percorso di Time Out, appare evidente la complessità di questo racconto «totale» su e per Giancarlo Vitali: una sorta di atlante disegnato a quattro mani in cui sono fissati i punti cardinali di un pensiero carico di straordinaria energia. Qui c’è la geografia di una pittura fluida e carnale, felice, sofferente, quieta e insieme feroce, dove soprattutto non sono delimitati i confini per una verità dell’esistenza. La scrittura di Giancarlo è autentica, onesta, universale. E lo è anche quella di Velasco, suo figlio prima che curatore. «Oggi proviamo a ricreare un padre. Io l’ho fatto, per esempio», dice Velasco. Una sfida impegnativa, necessaria. Ma forse, semplicemente, un gesto d’amore per ritrovare una parte di sé.

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