La ruvida pittura di Vitali

di Ada Masoero
DOMENICA. IL SOLE 24 ORE

Giancarlo Vitali. Time Out

Giancarlo Vitali. Time Out, Milano, Palazzo Reale, Castello Sforzesco, Museo di Storia Naturale, Casa del Manzoni, fino al 24 settembre. Catalogo Skira

È il figlio Velasco, eccellente artista a sua volta, ad aver curato la mostra che Milano dedica a Giancarlo Vitali, pittore che va verso i 90 e personaggio ruvido, del tutto allergico alle celebrazioni. Da anni, infatti, vive per sua scelta in una sorta di esilio eremitico nella casa di Bellano, sul Lago di Como (sponda lecchese, quella manzoniana) dove lavora caparbiamente con colori, spatole, pennelli, insofferente a mode, correnti, tendenze, e fedele solo alla sua passione per la pittura-pittura.

Pittura la sua, «sontuosa e trionfante di sughi, succhi, rapine cromatiche, carnali ascendenze, e debordante, sempre, di fiumi di rose, di peonie, di sangue», come scriveva Giovanni Testori, che lo “scopri” nel 1983 nel suo eremo bellanese (Vitali aveva ormai passato i 50) e lo seguì fino alla fine. Per avere conferma di questo giudizio, al tempo stesso visionario e millimetricamente esatto – come sempre accade con Testori – basta attraversare le sale di Palazzo Reale che ospitano ben 200 suoi dipinti, dagli anni ’40 al nuovo millennio, riunite in una mostra che è il cuore di un progetto diffuso tra Castello Sforzesco (dove trovano posto le carte incise, poste anche a paragone coni maestri antichi e recenti che ama), e il Museo di Storia Naturale, dove scorre il corpus di splendidi lavori da lui dedicati nel 1991, nel centenario della morte, all’abate Antonio Stoppani, illustre geologo e paleontologo lecchese – suo conterraneo, dunque -, lungamente direttore proprio di questo museo. Il vero coup-de-théàtre però (né potrebbe essere altrimenti, essendo un grande regista chi l’ha ideato) è nella Casa del Manzoni, dove Peter Greenaway, interpellato con qualche tremore da Velasco e subito sedotto dalla pittura di Giancarlo, ha saputo intrecciare il domestico genius loci di quel palazzetto tutt’altro che borioso (dove tra l’altro visse, ospite, il più illustre dei bellanesi, Tommaso Grossi, che di Manzoni era stretto amico) e gli umili oggetti, i fiori di campo, gli animali da cortile, i volti, che abitano la pittura di Giancarlo Vitali. E alcuni letti d’ospedale, memorie di una sua degenza, qui evocata proprio accanto all’ascetica stanza da letto dove Manzoni morì. Manco a dirlo è stato un altro Vitali, bellanese (omonimo ma non parente), il noto medico-scrittore Andrea, a fornire lo spunto per questa sezione, avendo lui trovato un manoscritto in cui Antonio Balbiani, scrittore e giornalista dell’800 (bellanese pure lui, ca va sans dire) narrava con dovizia di particolari gli ultimi giorni di Manzoni e il processo di mummificazione cui si sottopose il corpo di quel «padre della patria». Non stupisce perciò che i ritratti dei compaesani di Giancarlo Vitali in cui ci s’imbatte in Palazzo Reale sembrino usciti proprio dalle pagine di Andrea: figure sghembe e un po’ allucinate (Il farmacista Pirola, con la sua barba da profeta. La Dama dei gatti, dagli occhietti puntuti e un po’ folli, l’ossuto Sacrestano di Pasturo e molti altri), che qui convivono con girasoli bruciati dalla vampa estiva, con umide viole e con carcasse di soutiniani buoi squartati, maiali macellati, conigli scuoiati, polli spennati, che ci parlano di un mondo in cui gli animali erano, in primo luogo, fonte di cibo. Tutti restituiti da Vitali con pennellate dense, vischiose, concitate, gocciolanti. Se poi le parole di Testori non bastassero, sarà sufficiente osservare i tre d’après dalla Vecchia contadina del Ceruti, che dal primo, appena più espressionista dell’originale, svaporano nei bagliori azzurrognoli del terzo, per verificare la qualità della pittura di questo scontroso, geniale autodidatta.

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