Il mio senso del sacro e la lezione di Eco sull’indipendenza

L’intervista. Elisabetta Sgarbi. Regista, editrice e direttrice artistica. Sabato alle 17 al Cinema di Bellano presenterà il film “Il pianto della statua”

25.01.22 | La Provincia di Lecco

Sabato alle 17, Elisabetta Sgarbi sarà al Cinema di Bellano. É il primo appuntamento dell’edizione 2022 de “Il bello dell’Orrido”, la rassegna, ideata da Armando Besio, è organizzata da ArchiviVitali in collaborazione con il Comune di Bellano. Editrice, regista, ideatrice e direttrice della rassegna “La Milanesiana”, Elisabetta Sgarbi racconterà la sua poliedrica attività di animatrice culturale.
Dopo una vita al vertice della Bompiani, ha fondato nel 2015, con Umberto Eco, la casa editrice “La Nave di Teseo”, che oggi dirige.

Il suo arrivo a Bellano è legato alla “riconsegna” alla chiesa di Santa Marta della scultura lignea del Compianto, che per parecchi mesi è stata prima al Museo del Louvre a Parigi e poi al Castello Sforzesco a Milano. L’interesse di Elisabetta Sgarbi per i “compianti” sarà testimoniata dalla proiezione del film “Il pianto della statua”, di cui è regista.

Dottoressa Sgarbi, dove nacque questo suo interesse per i “compianti”?

Penso ci sia più di una radice autobiografica. A Ferrara, accanto alla vecchia sede del Liceo Ariosto, dove io e mio fratello abbiamo studiato, sta la Chiesa del Gesù, che ospita uno dei più bei compianti in terracotta di Guido Mazzoni. A Bologna, dove abbiamo studiato io e mio fratello, sta il più bel compianto della storia dell’arte, quello di Nicolò dell’Arca, a Santa Maria della Vita. Così, immagini cosa ha significato l’ingresso in casa del Busto di San Domenico di Nicolò dell’Arca, scoperto per una intuizione geniale da mio fratello presso un antiquario romano, una scultura documentata, ma di cui si erano perse le tracce, del 1474, e ora nella Fondazione Cavallini Sgarbi. Il film racconta in modo personale questa storia di incontri con queste persone di terracotta con cui ho avuto a che fare da quando ero ragazza.

Che parte occupa, dunque, nella sua vita la dimensione del sacro? E che cosa è sacro, per lei?

Per me sono sacre le cose cui tengo di più: sono sacri i miei genitori, mio fratello, il mio lavoro e le persone con cui lavoro da anni, gli autori con cui sono cresciuta. É sacro tutto ciò che non devo e non posso dimenticare.

Parlando della sua attività di regista, ha avuto modo di dire che la telecamera le permette essere più libera. Possiamo dire che quello cinematografico è il linguaggio che la realizza maggiormente?

Non direi esattamente così. L’editoria in cui si riversa tutta la mia vita e il mio tempo, mi realizza pienamente. Ma una casa editrice non è semplicemente uno spazio di creatività, bisogna portare a casa dei risultati economici, ci sono impegni da rispettare, persone a cui rendere conto, soprattutto quelle che si aspettano che io sia una guida. Il cinema è, nel mio caso, non in assoluto, perché anche il cinema è una attività molto professionalizzata, uno spazio di maggiore libertà, in cui la distanza tra me e la mia creatività ha meno mediazioni.

Passiamo all’editoria. Lei, insieme ad Umberto Eco, nel 2015, ha fondato la casa editrice “La nave di Teseo”. Come mai avete sentito la necessità di puntare tutto sull’indipendenza editoriale? E quale bilancio si sente di fare di questi primi anni nel mare di un’editoria italiana dominata da un gruppo egemone?

Non abbiamo puntato tutto sulla indipendenza. L’indipendenza la consideravamo e la consideriamo una precondizione. Si deve puntare tutto sugli autori e sui libri: l’indipendenza aiuta in questa dedizione.

Nel febbraio del 2016 ci lasciava Umberto Eco. Cosa ha rappresentato per lei questo straordinario intellettuale con cui ha condiviso un pezzo di strada prima alla Bompiani e poi a “La nave di Teseo”?

Quando sono entrata alla Bompiani, Eco era già Eco, lo scrittore italiano più tradotto al mondo, bestseller, saggista e filosofo riconosciuto in tutto il mondo. Io entrai all’ufficio stampa e il primo libro che mi venne affidato da Mario Andreose, che all’epoca era direttore editoriale, era un saggio di Eco. Ed Eco mi insegnò cosa vuol dire fare l’ufficio stampa di un libro, quale intelligenza e attenzione servisse. Cosa che mi sono portata dietro tutta la vita e che non manco di ripetere agli uffici stampa che entrano a lavorare in casa editrice. Tra le mille cose che Umberto mi ha insegnato, riporto dunque la prima, una legge importante dell’editoria: non basta pubblicare bei libri, un editore deve partecipare attivamente alla sua promozione. Gli anglosassoni usano una parola sola per indicare tutto il processo, dalla scelta della copertina, al carattere tipografico, all’ufficio stampa: publishing. L’indipendenza permette anche questo: di seguire, per quanto possibile, tutti questi tasselli.

Da addetta ai lavori, qual è lo stato della nostra letteratura? E quello del mercato editoriale?

Non è uno stato, è una realtà in movimento. Non si possono dare giudizi, bisogna seguire quello che succede, stare in questo flusso e provare a contribuirvi.

Cosa si sente di dire alle cassandre che periodicamente recitano il de profundis ai libri di carta?

C’è un titolo che Umberto Eco ha dato a un suo libro, scritto insieme a Jean Claude Carriere: “Non sperate di liberarvi dei libri”. É una conversazione che risale a oltre dieci anni fa, quando si nutrivano molte speranze negli e-book. Aveva ragione Eco: l’editoria si fonda, almeno sino a oggi, sul libro cartaceo non certo sul libro elettronico.

Lei ha una grande passione per la poesia. Si sente una sopravvissuta o anche la poesia potrà tornare ad essere letta come merita?

La poesia continua a essere letta e amata perché fa parte dell’essere umano. Soltanto che la poesia non sta solo nelle poesie, ma si è diffusa. Lo spirito di Petrarca, Dante, Leopardi, Ungaretti e Pascoli – pur rimanendo nei loro versi – sta anche altrove, nella canzone d’autore per esempio. Pensi DeAndré, Mogol, De Gregori, Bob Dylan. Se li includessimo nella etichetta poesia, non parleremmo di certo di crisi della poesia.

Nella sua ricchissima attività che posto occupa il festival La Milanesiana?

É un percorso parallelo alla editoria. Che si intreccia alla editoria, perché si nutre di un concetto ampio di lettura e cultura.

Gianfranco Colombo



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