Concorso

GVT01403.jpgMi piacerebbe lanciare una sorta di concorso il cui fine sarebbe quello di stimolare chiunque a fornire esempi volti a spiegare perché siamo diventati un paese complicato. Ove per complicato si intende un paese dove esistono settemila tra tasse e balzelli (il numero è empirico, poiché forse nella realtà è molto più alto), a fronte di paese né più né meno sviluppati dove una sola tassa ne congloba settemila e più.
Oppure perché siamo un paese dove un tratto di autostrada che non attraversa monti particolarmente impervi o mari particolarmente pescosi impiega decenni ad essere completato e non lo è ancora, a fronte di paesi né più né meno motorizzati di noi, dove le strade corrono diritte e sicure da un punto all’altro oppure a fronte di paesi che, non essendo ancora motorizzati come noi, le strade se le faranno quando saranno certi di poterle completare per benino.
Oppure perché siamo un paese che fa della propria spazzatura spot pubblicitario a beneficio esclusivo degli operatori turistici, a fronte di paesi che o non producono alcun tipo di spazzatura, e allora dovremmo prendere da costoro qualche lezione, oppure, se la producono, sanno anche come smaltirla, senza che essa diventi protagonista di docufilm che fanno il giro del mondo: e in questo secondo caso dovremmo comunque prendere qualche ripetizione.
Insomma, che radici ha questa necessità di complicarsi la vita, di gustarla quotidianamente al gusto di una corsa a ostacoli che richiama alla memoria certa burocrazia zarista o borbonica (scegliere quale delle due)?
Ecco il senso del concorso che mi piacerebbe lanciare, cui darei il via citando un alto esempio, quale quello raccontato dal signor Goethe nel suo “Viaggio in Italia” a proposito del sistema con cui i veronesi dell’epoca sua si ingegnavano per calcolare quale ora fosse del giorno o della notte.
A fronte di un sistema semplicissimo, quale quello che è in uso tuttora e ci permette di dire che sono le quattro, o le sedici, quando sono le quattro, o le sedici, quei buontemponi si erano dati un complicato metodo di computo orario basato su rintocchi di campana (il primo corrispondente alle nostre ore otto e via di seguito) che secondo fosse giorno o notte andavano aggiunti o sottratti a un numero fisso corrispondente alla nostra mezzanotte o al nostro mezzogiorno. A questo punto, calcolato l’orario, potevano, con un altro, semplice, così dice il signor Goethe, calcolo comunicarsi l’orario utilizzando una scala numerica tutta veronese.
So di essere stato poco chiaro ma da patentato somaro in matematica non si può pretendere di più. Il libro del signor Goethe è a disposizione di tutti in tutte le librerie e, per maggior comprensione, offre anche uno schema disegnato dallo stesso autore che quanto meno aiuta. Ciò che colpì d’acchito il nobile viaggiatore fu la sorpresa di questo complicato sistema di calcolo orario che, come descrive, obbligava molti veronesi a fermarsi per strada, dita all’aria, per contare rintocchi e partire immediatamente al calcolo delle ore. Fossi stato tra loro all’epoca, stante la mia scarsa propensione al calcolo mentale, avrei sicuramente raggiunto il risultato quando ormai l’ora era fuggita.
Ma tanto fa, non è un mio, e nemmeno nostro, problema.
Piuttosto, tornando all’immaginario concorso, mi pare che questo citato sia un buon esempio, non privo di una sua comicità, di quanta perversione ci sia nel complicarsi la vita a fronte di sistemi semplici che ce la renderebbero più lieve.
È un esempio, magari sciocco, ma è il primo che mi è saltato in mente.
Chissà quanti ce ne sono.
Da cui le ragioni di un ipotetico concorso.

Andrea Vitali

 

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