Una vita da pittore

di Chiara Gatti
LA REPUBBLICA. MILANO

“Dipingevo le insegne del barbiere poi un giorno a casa mia capitò Testori”

2017.07.01 La Repubblica.Milano.jpgI muri della sua casa a Bellano, affacciata sul ramo manzoniano del lago di Como, sono rimasti vuoti. I girasoli, il cuoco, l’imbianchino, il ciabattino, la dama dei gatti e il farmacista Pirola sono partiti per Milano. Cosa appenderà alle pareti adesso? «Nulla, le lascio bianche. Mi rilassano. Mi serviva una pausa» dice fissando fuori dei vetri un orizzonte liquido, come un Ulisse naufragato nella pittura. “Time Out” si intitola infatti la mostra antologica che Milano dedica da martedì a Giancarlo Vitali, un gigante dell’arte italiana votata all’immagine, al racconto, ai fatti dell’esistenza. Ottantotto anni a novembre, è pronto a tirare le somme della sua esperienza, riassunta da un percorso monumentale. Oltre 200 opere su varie sedi, messe in fila dal figlio Velasco (anche lui pittore famoso) fra Palazzo Reale, Castello, Museo di Storia Naturale e Casa del Manzoni.

Preoccupato?
«Frastornato. Il progetto è molto coerente ma, per le mie corde, troppo clamore».

Quando ha iniziato a dipingere?
«Sono cresciuto in una famiglia di pescatori. Mio nonno, mio padre e lo zio avevano in affitto lo specchio d’acqua che vede da questa finestra Un lavoro immenso, faticoso ma anche generoso che ci ha permesso di mettere sempre qualcosa nel piatto. Non ho mai pensato di fare il pescatore e nessuno si è mai sognato di impormelo. È stato chiaro da subito quale fosse la mia vena».

Era già emersa da ragazzo?
«Dipingevo le insegne del barbiere. Ventenne, accettai piccoli lavori su commissione dei mercanti. Paesaggini vecchio stile. Piacevano alla gente. Ho vissuto e ho “campato” grazie alla pittura. È stato il mio mestiere, poi è diventa la mia vita».

Chi l’ha guidata?
«Il maestro Arnoldi che insegnava disegno tecnico ( il suo ritratto è alla Casa del Manzoni) convinse i miei genitori a lasciarmi seguire questa strada. Lo ascoltarono, ma non potevano permettersi di iscrivermi a Brera. Allora, in piena guerra, andai a lavorare all’Istituto d’arti grafiche di Bergamo. Ero un bambino. Immagini il clima. La zecca dello Stato era stata trasferita lì. Portavo i cliché di stampa da un piano all’altro accompagnato da guardie armate. Una specie di Pinocchio della stampa d’arte. Ma mi riempii gli occhi di pittura. Mi saziai di immagini; una scorta a cui ho attinto per sempre. Dopo un anno tornai sul lago».

E nacquero i suoi soggetti più conosciuti.
«Dipingevo quello che trovavo, soprattutto persone. Allora uscivo spesso. Amavo stare in compagnia. Facevamo chilometri a piedi, sulle montagne qui alle nostre spalle. La “materia prima” erano gli amici, la gente del paese. Ho dipinto centinaia di ritratti. Velasco gli ha voluto riservare una sala intera: il cameriere e il sagrestano, il macellaio e il fotografo, il falegname e il seduttore; quella fauna umana che un paese, allora industriale, offriva in abbondanza. La stessa dei romanzi di Andrea Vitali, lo scrittore che continua a essere il mio medico».

Personaggi di una commedia umana.
«Tutti quegli incontri, quei volti, hanno creato un repertorio a cui attingere senza bisogno del soggetto in carne e ossa. Così li ho ridipinti, reinventandoli, trasformandoli. Il Vittorio (non me ne voglia!) non è mai stato un macellaio, ma il suo aspetto si prestava a vestire i panni della commedia. Il farmacista Pirola è diventato l’archetipo dell’autorità costituita. La dama dei gatti (una donna che avevo visto a Sant’Agata, una frazione qui sopra) è il simbolo della memoria che svanisce con l’età che avanza. Capisce?».

Poi arrivò Testori.
«Un collezionista di provincia gli aveva mostrato un mio catalogo. Fra le opere era saltato fuori un coniglio scuoiato deposto su un canovaccio bianco. Il tipico soggetto che lo mandava in estasi. Nell’estate dell’84 venne a Bellano e nacque un’amicizia. Organizzò la mia personale alla Compagnia del Disegno, firmammo a quattro mani la cartella di poesie e incisioni del Trittico del Toro. Curò la prima personale a Milano nel 1985».

Le manca?
«Mi manca il confronto sul piano artistico, con lui stimolante e mai scontato. Mi manca l’amico. Andai a trovarlo durante la malattia che l’aveva consumato e reso irriconoscibile. Soltanto l’occhio azzurro era rimasto lo stesso. In mostra ci sarà il grande ritratto con la sciarpa rossa, accanto a quello in cui emergono solo gli occhi. Testori era il suo sguardo».

 

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